14 aprile, 2013

“I figli della mezzanotte”: le loro vite sono state, nonostante tutto, atti d'amore. Di Francesca Saveria Cimmino



“I figli della mezzanotte” è un romanzo di Salman Rushdie del 1981. In quello stesso anno il libro vince il James Tait Black Memorial Prize e il Booker Prize. Nel 1993 è stato nominato "Booker of Bookers" e nel 2008 ha conseguito il titolo di "Best of the Booker". La regista indiana Deepa Mehta ha affidato all’autore di tale volume l’adattamento per il grande schermo. Il titolo originale del film risulta essere Midnight's Children; è una co-produzione anglo-canadese, ed è stato girato principalmente a Colombo in Sri Lanka.
È il 15 agosto 1947 l’anno in cui l’India proclama l’indipendenza dall’Impero britannico. In un ospedale di Bombay due neonati vengono scambiati da Mary, un’infermiera idealista, per permettere all’uno di vivere il destino dell’altro. Saleem, figlio di una famiglia povera e in seguito al parto orfano di madre, e Shiva, erede di un coppia benestante, hanno la (s)fortuna di vedere le proprie strade incrociarsi e scontrarsi.




Il principio secondo il quale l’ostetrica agisce è questo: solo quando i ricchi diventano poveri e i poveri ricchi, essi saranno uguali. Le loro vite si intrecceranno con quelle di tutti gli altri bambini nati nello stesso momento: sono i figli della mezzanotte e ognuno di loro possiede doti straordinarie e poteri speciali: Saleem, in particolare, è l’unico capace di radunare tutti i suoi “fratelli” grazie al suo naso, con il quale sente e vede cose non esistenti per chiunque altro.
La condizione di tali magici ragazzi sembra svolgersi contemporaneamente alla Storia del Paese: mentre tutto il mondo dorme e la loro terra si sveglia per l’indipendenza e la libertà, i bambini di notte si incontrano per sconfiggere la solitudine e i disagi sociali; o, entrando nello specifico, così come il Pakistan e l’India nascono l’uno dal sangue dell’altro, Saleem e Shiva, sono entrambi figli di due famiglie.
Le immagini del film travolgenti, suggestive e sensuali, trascinano lo spettatore in un mare magnum rubicondo ed espressivo; tuttavia una sostanziale mancanza di organicità e una storia prolissa nel tempo lasciano lo spettatore un po’ perplesso. Una sceneggiatura in cui lo slancio narrativo non riesce a stupire quanto le scene corali e dove, probabilmente, gli autori avrebbero dovuto svolgere un maggiore lavoro di selezione: affinché tutti potessero comprendere il senso della storia senza perdersi in dettagli o vicoli ciechi.

Francesca Saveria Cimmino

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