09 febbraio, 2013

“Solo gli ingenui muoiono d’amore”, testo regia e interpretazione di Cèsar Brie. Di Daria D.



Milano, Teatro Filodrammatici. Dal 7 al 9 febbraio 2013. Prima nazionale


César Brie, seduto sul palcoscenico, levati i panni del Secco, alla domanda su quanto ci sia di autobiografico nei suoi testi, risponde semplicemente, usando quel tono di voce caldo e rassicurante, che ha mantenuto una sfumatura di accento argentino: “E’ tutto autobiografico. Ma io risuono in voi”.
Il tema dell’arte che sia in grado di portare un messaggio universale, sta a cuore a Brie da quando mise in scena l’Iliade, con il Teatro de Los Andes prima in Bolivia e poi in giro per il mondo.
Al regista drammaturgo e attore non interessano vicende che non arrivino al cuore e all’intelligenza di tutti gli spettatori, quella non è Arte, ma un mero esercizio di autoesaltazione.  Eppure, quanta pseudo arte vediamo in giro, il cui unico scopo è far parlare di sé l’autore (un esempio eclatante è Cattelan o gli in-famosi Ricci e Forti che dopo le pseudo trasgressioni indossano  i panni di colorate meretrici per scrivere testi per una televisione trash) o di manipolare utenti che non hanno voglia di essere scioccati, né annoiati né presi in giro. La vera rivoluzione non sta nella volgarità, nella “rottura” a tutti i costi degli schemi classici, nel turpiloquio senza senso, nella povertà d’idee, nel mostrare membri e tette, tanto per nascondere o una mancanza di talento o un talento da venditori di fumo.
 La vera Arte si distingue per il contenuto, per le idee, per il messaggio finale, per il divertimento, se fatto con intelligenza. Far ridere con intelligenza è più difficile che prendere un’attrice e farla recitare completamente nuda davanti a un pubblico di eccitati spettatori, benpensanti e borghesi, che in questo modo rimarranno sempre tali.  E tutto questo per denunciare una situazione sbagliata che in questo modo non farà altro che essere alimentata. Mi sembrano più operazioni di mercato e il mercato non è Arte.  Bisognerebbe cercare di educare lo spettatore con testi e interpretazioni che non dimentichino la logica, l’estetica e l’etica di aristotelica memoria.  Detto questo, viva la libertà di espressione, il dibattito e la critica, ma a patto che si conquistino nuove vette e non si cada sempre di più nel bidone dei bidoni.
Brie è un rivoluzionario vero, a mio parere, perché i suoi testi hanno forza, dignità e bellezza.  E non ci lasciano mai a mani vuote, anzi a testa vuota.  Il privato di Brie come anche in questo spettacolo, diventa collettivo e noi tutti ci possiamo identificare nei suoi personaggi, divertenti, ironici, sofferenti, disgraziati.   Troviamo similitudini nei campesinos, nei grassoni amanti del jazz, nei giovani sposi, nelle vicende dei fratelli Karamazov che lui considera il più bel libro mai scritto. Credo proprio abbia ragione.
Allora tutto diventa senza tempo e senza spazio, niente è riconoscibile eppure tutto lo è, nelle nostre memorie, esperienze, fantasie. Quello che conta è che le storie dei personaggi, Secco, in questo caso, nome? soprannome? risuonino in noi, come loro risuonano in César.  Se succedesse sempre così, allora sapremmo veramente cosa è la “melodia celeste”e non vorremmo mai più farne a meno.
In scena un letto di morte, grossi ceri che Brie accende all’inizio dello spettacolo, una foto (la sua) al capezzale, fiori, una sedia, un comodino con bottiglie di liquori e birre (dopo la morte la vita continua) e un abito elegante che è appartenuto al defunto, piegato ordinatamente sul catafalco.
Brie entra sul palcoscenico in boxer e maglietta e ricordando la vita del defunto comincerà a indossare i suoi stessi panni, perché il morto è proprio lui, che sta aspettando amici che non verranno mai al suo funerale. Solo Ciccio Mendez, sbarcato da un altro bel testo, portando i suoi 120 chili di jazz, onererà la memoria del defunto.
 Adottando una recitazione brechtiana, Brie entra ed esce dal personaggio del Secco, a volta parla in prima persona altre , gli si rivolge come a un amico, a un figlio, a un amante. Il testo è ironico, triste, la morte non è mai allegra, ma quelle bottiglie di whisky sono lì per rallegrare il baccanale che seguirà il funerale. Come pure i suoi aneddoti sul sesso e le donne. La vita, la morte, due facce della stessa medaglia, il desiderio di esorcizzarle entrambe, perché entrambe sembrano più un esercizio umoristico di chi si è divertito a metterci al mondo e poi, a farci morire. Ah ah ah…
Brie a fine spettacolo, pur stanco ma con la tensione ormai alleviata, ci concede una lunga chiacchierata con umiltà e simpatia. Capiamo dalle sue parole che la sua strada sarà sempre quella di un teatro rivoluzionario nella tradizione, libero negli schemi, né di destra né di sinistra come afferma, perché il bene non è tutto qui o tutto là. Credere “nelle lotte e nei bisogni della gente”, non nei partiti. Qualcuno che lo credeva di sinistra forse è rimasto deluso, ma anche chi pensava che, se non si è di sinistra, si debba per forza essere il suo opposto. Bravo Brie, il tuo rispetto delle ideologie senza giudicarle prima di averle conosciute e provate sulla tua pelle, bastonate e minacce da una parte e dall’altra, la ricerca della verità e la professionalità, sono i presupposti per un’arte libera da vincoli e condizionamenti. A volte tutto ciò si paga, ma ne vale la pena.
Brie ci confessa di un progetto su Fenoglio, di cui parla con rispetto e passione, Silone, e chissà cos’altro passa nella sua testa di artista, “un bambino su cui sono cadute addosso montagne di anni”.
Ma, aggiungo io, il cuore di un artista anche sotto il peso degli anni, rimane sempre bambino, ingenuo, forse, ma almeno perennemente innamorato.

Daria D.


Solo gli ingenui muoiono d’amore
testo, regia ed interpretazione César Brie

1 commento: