17 novembre, 2012

“Muri. Prima e dopo Basaglia”. Il lato umano del manicomio. Una straordinaria Giulia Lazzarini inaugura la Stagione Teatrale al Teatro Mecenate di Arezzo.



Arezzo, Teatro Mecenate. Giovedì 8 novembre 2012

Quello che il personaggio al centro dello spettacolo Muri. Prima e dopo Basaglia fa fare allo spettatore è un viaggio da un lato attraverso i luoghi dell’ospedale psichiatrico di Trieste, seguendo il corso dei ricordi della protagonista che si snodano lungo gli anni movimentati della psichiatria in Italia, e dall’altro attraverso l’esperienza di chi in questo campo ha scritto un importante pezzo di storia, Franco Basaglia. Protagonista anch’egli, nel suo caso del racconto che si sviluppa in scena, del quale costituisce lo spartiacque - come si intuisce dal titolo stesso - che divide la vicenda in due momenti distinti. Lo spettacolo infatti è un lungo monologo incentrato sulla figura di Basaglia e sulla grande rivoluzione che ha apportato nel campo delle malattie mentali, che viene ripercorsa dall’interno, contestualizzata e mostrata in profondità attraverso gli occhi di un’infermiera, interpretata da Giulia Lazzarini. La tipologia narrativa è dunque quella della testimonianza in prima persona, rivolta ad un interlocutore che si percepisce ma non si vede in scena, e che ben presto diventa ogni spettatore presente. Ne nasce un racconto emotivamente coinvolto da parte dell’attrice protagonista ed emotivamente coinvolgente per il pubblico.
Non appena Giulia Lazzarini entra in scena colpisce per la delicatezza con cui caratterizza il suo personaggio, nei gesti composti e soprattutto nella voce pacata, che si fa sempre più avvolgente con lo svolgersi dello spettacolo. È come se la Lazzarini prendesse per mano gli spettatori e li guidasse attraverso l’esperienza personale di un’infermiera, che quasi per caso entra a lavorare nell’ospedale triestino e si ritrova dopo alcuni anni a collaborare con Basaglia, vivendo in prima persona la sua riforma. Anche in questo spettacolo si ritrovano quei tratti distintivi del modo di fare teatro della Lazzarini, quella dedizione al personaggio e quel rigore attoriale che ne hanno fatto una grande attrice nel senso pieno del termine. Mai una sbavatura, mai un calo di tensione nell’interpretazione, Giulia Lazzarini è costantemente calata nel personaggio e partecipe del racconto. Le bastano pochi movimenti delle mani per enfatizzare la lettura del monologo, mentre le espressioni del volto ne sottolineano il senso e lo rendono vivo. Il testo di Muri. Prima e dopo Basaglia - scritto e diretto da Renato Sarti - è ben costruito e incisivo, ma è innegabile che lo spettacolo viene arricchito dall’interpretazione della Lazzarini.
Si è detto che Basaglia divide la storia in due tempi, ma a voler essere precisi tre sono i momenti che scandiscono la narrazione: la descrizione della situazione nel reparto e della condizione dei malati mentali prima dell’esperienza di Basaglia; il racconto del cambiamento durante la rivoluzione da lui avviata; infine il dopo Basaglia, dai toni un po’ nostalgici, che riconosce come si è trasformata ancora la psichiatria. Il manicomio prima di Basaglia è segnato da immagini forti, bastano alcuni termini per evocare un luogo dove impera la forza finalizzata a stroncare comportamenti ritenuti violenti: si parla di elettroshock, lobotomia, violenza. Pulizia e custodia sono le parole che maggiormente vengono ripetute dall’infermiera in questo primo quadro, quasi in maniera ossessiva, perché la sporcizia del reparto deve essere coperta e i malati vanno controllati, non seguiti. Malati che tra psicofarmaci e isolamento perdono pian piano la loro identità di uomini e di donne, fino a diventare dei corpi vuoti, quelli che occupano il settore più interno, o meglio, finale del manicomio.
L’arrivo di Basaglia nell’ospedale triestino è rappresentato in scena con la luce, una luce calda che illumina il muro che occupa il palcoscenico. È il periodo della grande riabilitazione, della messa in discussione del trattamento dei malati mentali. Il racconto dell’infermiera prende respiro e si apre ai ricordi, a immagini di rinnovamento: tra i pazienti c’è chi dipinge, chi svolge piccoli lavori, chi viene portato al mare. La memoria della protagonista si ferma ad un giorno trascorso insieme ad una paziente al mare, al suo giocare e gioire tra le onde di fronte agli occhi increduli dei bagnanti. Questa immagine racchiude in sé gli aspetti fondamentali della rivoluzione di Basaglia: un rapporto diretto tra paziente infermiere e medico, e la possibilità per i malati di stare in mezzo alla gente grazie all’abbattimento delle mura del manicomio. Ma più ci si avvicina ai giorni nostri e più l’entusiasmo di quel periodo innovativo si affievolisce, anche nel racconto dell’infermiera. Come ogni movimento socio-culturale, anche quello di Basaglia raggiunge il suo apice negli anni della chiusura dei manicomi e della legge 180, poi quel fermento decresce e si stabilizza in un nuovo sistema ideologico.
Si spenge l’entusiasmo ma non la passione di chi in quell’esperienza ha creduto, come l’infermiera a cui la Lazzarini dà voce che, ormai in pensione, continua ad andare all’ospedale come volontaria e passa del tempo con i malati mentali perché così dà un senso alla sua vita e alle sue giornate. Questo è il lato più privato del monologo, poiché il racconto non ha solo il carattere pubblico della storia di Franco Basaglia, ha anche quello privato della vicenda personale, in un perfetto equilibrio drammaturgico tra i due ambiti. Basti pensare a quando l’infermiera allarga la narrazione alla sua vita matrimoniale, accennando al rapporto con il marito che si fa più difficile man mano che il lavoro nel manicomio la coinvolge sempre di più, fino a toccare il piano della riflessione interiore. Emerge così che quella all’interno dell’ospedale psichiatrico è un’esperienza totalizzante, che cattura energie e richiede la disponibilità a mettersi in gioco, che fa scattare un percorso interiore e si riflette inevitabilmente nella vita al di fuori del tempo lavorativo. La protagonista sottolinea come l’esperienza con Basaglia le abbia fatto acquisire il senso di responsabilità verso gli altri ma anche verso se stessa, a cui poi si è unita una coscienza politica, perché partendo dalla mobilitazione per i diritti dei malati mentali ha avuto modo di conoscere e far parte di quel movimento più ampio per i diritti delle donne, dei lavoratori, degli studenti che dal ’68 arriva fino ai primi anni Settanta.
I temi toccati nello spettacolo Muri. Prima e dopo Basaglia sono dunque vari, così come tanti sono i fili rossi tracciati durante il racconto, fili che toccano da vicino lo spettatore. Molti hanno ancora in testa le immagini che alcune settimane fa hanno fatto il giro dei telegiornali, di alcuni programmi televisivi e della rete: quelle del video che mostra il maestro Francesco Mastrogiovanni, morto nel 2009 in ospedale dopo un ricovero per un T.S.O., abbandonato per 82 ore in un letto del reparto di psichiatria, nudo legato e dimenticato da medici e infermieri. Per chi ha ancora ben chiare quelle immagini e la loro crudeltà, lo spettacolo con Giulia Lazzarini acquista un significato in più e si carica di una scottante attualità: quei corpi vuoti ricordati dall’infermiera non sono molto lontani da quello di Mastrogiovanni, che durante delle lunghissime ore si fa sempre più inerme nella noncuranza di chi invece avrebbe dovuto accudirlo. E allora la voce, la testimonianza dell’infermiera, se da un lato dovrebbe scuotere le coscienze, dall’altro diventa fondamentale per dimostrare che non c’è una spiegazione medica a tali episodi, poiché la grande rivoluzione di Franco Basaglia nel campo della psichiatria ha reso reali ed efficaci altre vie di cura del tutto diverse.

Sara Nocciolini


MURI. PRIMA E DOPO BASAGLIA
con  Giulia Lazzarini
testo e regia di  Renato Sarti
musiche di  Carlo Boccadoro
scene di  Carlo Sala
luci di  Claudio De Pace
produzione  Teatro della Cooperativa/Mittelfest
con il sostegno di Regione Lombardia
progetto Next e della Provincia di Trieste

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