01 ottobre, 2012

Il Purgatorio di Silvio Orlando, un cammino segnato dall’ombra del classico con qualche brillante apertura-dialogo con il contemporaneo.



In attesa dell’inizio delle stagioni teatrali, il Corriere pubblica una recensione di uno spettacolo andato in scena a Cortona più di due mesi fa. Nonostante sia passato del tempo dalla sua messa in scena non sarà tuttavia inutile pubblicarne una critica, che rimane sempre un importante documento della serata.

Teatro Signorelli, Cortona. Mercoledì 25 luglio 2012

Che la Divina Commedia sia un testo adattabile per il palcoscenico - nonché per la televisione - lo ha dimostrato con successo Roberto Benigni. A lui va riconosciuto il merito di aver abbattuto quel muro di preconcetti verso il capolavoro dantesco dovuto ai più disparati ricordi scolastici che ognuno di noi ha, oltre al merito di aver rispolverato i canti con un soffio vitale capace di donare nuova luce ai personaggi e, soprattutto, di attualizzare le loro storie. Ma se Benigni ha la capacità di portare lo spettatore dentro la Divina Commedia, rendendolo partecipe del viaggio dantesco senza sminuire la grandezza né la complessità del testo, altri invece che si sono confrontati con questo cardine della nostra letteratura è come se non riuscissero a liberarsi dall’idea che i canti vanno spiegati per poter essere compresi, e rinunciassero così a percorrerli direttamente.
Anche Silvio Orlando nel suo spettacolo sul Purgatorio è molto legato ad una lettura commentata del testo, che si esprime attraverso un approccio fortemente didattico all’opera e che segna persino i vari aspetti della messa in scena. Di ambientazione scolastica è infatti la scenografia: una lavagna al centro con gessi e spugna per illustrare il regno di mezzo, con tanto di due scolari in scena che ascoltano la lezione del maestro Orlando. Una è l’alunna che segue diligentemente la spiegazione - presenza troppo statica e il cui silenzio prolungato è quasi imbarazzante -, l’altro è l’alunno-musicista che a tratti dialoga col protagonista e arricchisce il discorso con brani suonati dal vivo, smorzando il tono e l’impostazione didattica tenuti dal protagonista. È vero che l’attore e regista gioca con l’ambientazione scolastica, cercando di coinvolgere il pubblico in questa ennesima rilettura dantesca, ma le troppe spiegazioni appesantiscono la parte iniziale dello spettacolo rischiando di appiattire anche la stessa opera.
Lo spettacolo prende avvio da una premessa perlopiù storica sul Purgatorio, incentrata in particolare in epoca medievale, e sul suo essere “una geniale invenzione della Chiesa di Roma” (come lo definisce Orlando) per mantenere una forma di controllo non solo sui vivi ma anche sui morti. Questa introduzione è interessante ma poco stimolante, perché il tono esplicativo e l’impostazione didascalica hanno la meglio, ed essa funge più da motivazione della scelta della cantica dantesca che da strumento per catturare l’attenzione dello spettatore. È quando Orlando inizia a parlare del Purgatorio di Dante Alighieri che la sua performance prende forma e si entra nel vivo dello spettacolo, la cui prima parte è dedicata al canto sesto con l’incontro tra Virgilio e Sordello, l’apostrofe di Dante all’Italia e la riflessione sulle preghiere per i defunti che apre il canto. Qui sta lo spunto che guida il lavoro di Orlando sul testo, e quel suo interrogarsi sulle questioni poste da Dante si riflette sulla trasposizione scenica, che finalmente diventa appassionata e appassionante. Quando l’attore riesce a mettere da parte il bisogno di parafrasare il canto per lasciarsi andare a una più libera presentazione dei personaggi e della situazione, allora lo spettacolo ci guadagna perché sfugge al rischio di essere un mero recital e diventa piuttosto una lettura sentita.
L’aspetto innovativo di questa rappresentazione scenica del Purgatorio sta nella scelta di intervallare con una poesia napoletana il sesto canto e il secondo, a cui è dedicata l’altra parte dello spettacolo. Lo stacco è notevole: diversa è la lingua o il dialetto che dir si voglia, diverso è lo stile e pure la voce, perché stavolta è l’alunna (una brava ma purtroppo sacrificata Maria Laura Rondanini) che può finalmente dare sfogo alle proprie doti interpretative. Nonostante il balzo in un contesto estraneo alla Divina Commedia, il risultato è convincente, perché il filo che riesce a legare e a tenere uniti testi così distanti tra loro non è solo il tema del viaggio nell’aldilà, ma è soprattutto quella riflessione sulla vita e la morte, sulla vicinanza tra i vivi e i morti. Inoltre il momento occupato dalla poesia napoletana (che a fine spettacolo ritorna con la citazione di Io vulesse truvà pace di Eduardo de Filippo) così come gli intermezzi musicali, pur rimanendo tutti sospesi all’interno dell’universo dantesco, rappresentano delle piccole finestre che danno respiro rimediando al rischio che lo spettacolo si chiuda in se stesso e nei suoi tratti didascalici. In altri termini, il percorso di Orlando attraverso i due canti si ravviva quando si apre al contemporaneo e a forme diverse, perché si allontana dall’impostazione scolastica e da una critica dantesca troppo rigida che sul palcoscenico risulta ingombrante.
Lo spettacolo di Silvio Orlando risulta così una conferma del fatto che è giusto - per non dire è necessario - confrontarsi con i grandi classici, ma senza essere schiacciati dall’ombra della loro fama, perché è fondamentale riscoprirli con i nostri occhi e le nostre istanze di contemporanei. Il resto lo fanno i testi stessi, il compito dell’attore è dare spessore alle parole, affinché non suonino vuote, e nuova vita alle immagini in esse contenute.

Sara Nocciolini



ORLANDO IN PURGATORIO
con  Silvio Orlando
drammaturgia e regia di  Silvio Orlando
con  Maria Laura Rondanini e il musicista Pejiman Tadayon
una produzione  Teatro Del Cardellino 

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