17 settembre, 2012

"Strappo", la poesia -tradotta in italiano da Daria D. e pubblicata per la prima volta nel nostro Paese- che la famosa poetessa Sepideh Jodeyri dedica a tutti gli Iraniani in esilio



STRAPPO  di Sepideh Jodeyri
Dedicata a tutti gli Iraniani in esilio
Traduzione dall’inglese di Daria D.


Ho conosciuto Sepideh Jodeyri, la poetessa iraniana,  nella bella cittadina di Chiusi, un giorno d’estate.
Mi chiese di leggere, davanti al pubblico, una sua poesia dedicata agli iraniani in esilio, che era stata tradotta in inglese, ma non in italiano.
Sepideh parla poche parole di italiano e così abbiamo conversato sempre in inglese. Mi ha ricordato tante giovani donne che incontravo a Los Angeles dove c’è una vasta comunità di rifugiati iraniani. Gli stessi occhi profondamente neri, grandi, i capelli lucenti e  lunghi, la bocca sensuale, il naso importante, mai troppo piccolo: donne a mio parere molto belle, molto femminili.
Sepideh vive da  più di un anno  a Chiusi, perché membro dell’ ICORN (International cities of refuge network.), con la sua famiglia e scrive poesie.
Ma pur amando e apprezzando la terra e le persone che la ospitano, Sepideh ha nostalgia del suo paese da cui è stata costretta a scappare.  Dentro al suo cuore è avvenuto uno strappo, come dice il titolo che io ho dato alla sua poesia,  da tutto quello che amava, ma scappando ha messo in salvo sé stessa come donna e poetessa, e la sua famiglia. Non possiamo che essere felici che sia qui con noi, anche se quello strappo, come una ferita, si rimarginerà solo se potrà tornare in Iran, ma da donna libera, per vivere e creare senza paura.
Ringrazio Sepideh della fiducia che mi ha concesso e mi auguro di poter  presto tradurre anche  le sue poesie Italiane.

Daria D.


Rossi gli occhi della vostra rabbia
contro di me
che  stordita dal pianto
me ne vado.
Oh luce  imprigionata per troppo tempo!  Lacera il mio corpo ed esci!
Trattengo presagi  di morte
Come chi  il dolore  dietro una porta nasconde.
Potessi  strappare  da Baqi[1] a Khavaran[2] i lamenti delle anime dei morti  e poi andar via!
Potessi  colmarmi del raffinato nome Teheran  e poi andar via!
Oh luce  imprigionata per troppo tempo!  Lacera il mo corpo ed esci!
Potessi trovare  la forza di urlare, urlare
Fino a lacerarvi le orecchie
Urlare… 
Questo  mondo mi accusa di peccati che per voi  son senza peso!
Questo  mondo mi accusa di peccati, di cui voi ridereste a lungo!
Questo mondo mi accusa di peccare
Perché  son urlo e luce
E  ho la forza di  lacerare le tenebre.
Potessi  macchiarmi di peccati ridicoli e poi andarmene!

E’ scoccata l’ora,  è tempo di andare
Come una mezzanotte fiabesca
Il trucco crudele che ho sulla faccia si prende gioco della realtà: è mezzanotte!
E dallo squarcio del  mio corpo possano fiorire innumerevoli  frutti
E voi sorgenti addormentate riprendete a scorrere sopra la mia testa, è mezzanotte!
Oh luce imprigionata per troppo tempo!  Lacera il mo corpo ed esci!
Voi spade pendenti sopra la mia testa
Voi  fratture del mio cranio
E il ciclico ripetersi del sole che sorge sulla terra
E  dell’aria  che si diverte ad inghiottirmi! [3]
Oh Egitto!
Il giorno delle donne è arrivato!
Un corpo non più avvolto da tenebre ancestrali
Nudo ai nostri occhi si mostra[4]
E nuova  luce  emergerà sulla terra
Per rendere tutto sorprendente.
Potessi portare con me poesia, sangue e pane[5]  e poi andar via!
Il  ranginak[6] che cuocemmo  era  più colorato del nostro sangue
E l’amore che credevo così grande 
Si è infranto, cadendo
Sputo sulla tomba del padre!
Tutto quello che ho e che non ho lo devo a lui!
Potessi  portare con me  le tombe riempite a metà e poi andarmene!

E anche tutto ciò che è rimasto!
E anche tutto ciò  che è rimasto!
E anche tutto ciò che è rimasto!

Il cielo che mi circonda rimane buio
Come i giorni che passano senza portare nulla
E le acque che un tempo scorrevan copiose
Son le acque più asciutte della terra
Come me, che non son  donna
Né  colore
Né  anima
Ma  un viso  che passa sulla terra
E se ne va.



[1] Baqi è un famoso cimitero a Medina, dove molti rappresentanti religiosi del primo islamismo, inclusi quattro Imam Sciiti, sono sepolti.
[2] Khavaran è un territorio tristemente famoso di Teheran, dove, in un’arida zona, molti prigionieri politici massacrati insieme ad altre vittime del regime, furono sepolte nel 1988.
[3] Richiamo al libro di poesie di Sepideh Jodeyri dal titolo “Sogno di una ragazza anfibia”. Prima edizione 2000, Pe’yar Publications, Tehran. Seconda edizione a cura di Sahnehha Digital Publications, Svezia, 2008.
[4] I versi sono un richiamo voluto  al verso “Oh tu mio tesoro, mio unico tesoro” di Forough Farokhzad, poetessa iraniana, come senso di partecipazione e adesione al gesto di ribellione di Aliaa Magda Elmahady.
[5] Dall’articolo di Adrian Ridge, poetessa e femminista americana, intitolato “Sangue, pane e poesia: la dimora del poeta”, pubblicato in The Massachusetts Review, 1983.
[6] Ranginak è un dolce fatto di datteri, noci, burro e farina, che nel sud dell’Iran viene servito durante i funerali. 

Nessun commento:

Posta un commento