12 maggio, 2012

Trame di spettacoli: "Giochi di famiglia", Il mondo dei grandi visto dai bambini




GIOCHI DI FAMIGLIA, Trilogia di Belgrado parte I, con la regia di Paolo Magelli, si rifà al testo di Biljana Srbljanovic ed è stato realizzato con la giovane compagnia Stabile del Teatro Metastasio. Quattro attori, due donne e due uomini- Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni-, che recitano di essere bambini che a loro volta fingono di essere adulti. Un nucleo familiare da loro creato e messo in scena, prendendo spunto da una città europea (forse serba) devastata dalla guerra appena trascorsa. Nei loro occhi l’ingenuità, tipica della fanciullezza, di rappresentare prototipi di famiglie logorate dalla sofferenza e dal tormento. Ciò che emerge, con crudezza e senza mezzi termini, è tremendo: un padre violento prima succube e poi assente, una moglie priva di personalità che cerca di emanciparsi ma non sa che strada seguire, un figlio che prova invano a pensare con la propria testa, una ragazza-cane che assiste all’esplodere delle situazioni più assurde. Il valore per la morale, per la vita scompare in modo naturale, come se la guerra desse per scontati certi meccanismi maligni della mente umana. Tutto ciò che i bambini vedono, interpretano e rappresentano è normale: la violenza sessuale, la fame, la disoccupazione, la morte sono tutte tematiche di cui ridono e giocano. In mezzo a tali giochi un altro uomo, un operaio, che cammina tra le macerie della città senza rendersi conto della presenza dei bambini e all’apparenza senza alcuna utilità narrativa, se non nel prologo e nel finale. Non è, invece, una presenza casuale: è il presente che ricostruisce, restaura ciò che il passato ha distrutto senza pensare troppo a ciò che quella terra ha da raccontare. Le scelte registiche sono precise, mai banali, anche se a volte non semplici da capire. A tal proposito, penso ai video proiettati in uno schermo enorme a sinistra del palco. Apparentemente didascalici e necessari per i soli cambi di scena, potrebbero simboleggiare il mondo della televisione. La guerra dell’ex Jugoslavia, cui la scrittrice vuol far riferimento, l’abbiamo vissuta attraverso i telegiornali, la radio, e l’utilizzo dei video potrebbe rimandare alla contorsione che le notizie subiscono a causa dei mezzi di comunicazione. Il testo è crudo, molto forte, ma tale scelta espressiva è necessaria. Forse per comprenderlo fino in fondo servirebbe una lettura completa, ma sicuramente la messa in scena ha permesso una sua traduzione efficace e d’intuizione. D’effetto anche le musiche di Arturo Annecchino, ma niente è più efficace degli attori stessi, magistralmente guidati dal regista pratese. Si vede subito il lavoro che c’è stato dietro, la potenza che insieme trasmettono. Splendida soprattutto Elisa Cecilia Langone, diplomata presso la “Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi” di Milano nel 2008, nel ruolo della ragazza straniera. Senza pronunciare una parola, se non quasi alla fine, riesce - attraverso il linguaggio del corpo, quello onomatopeico e distorcendo la voce - ad emanare un’energia tale da far rabbrividire. Sicuramente è uno spettacolo che non va visto superficialmente, ma consapevoli del suo spessore. In ogni caso, nonostante l’inquietudine che può suscitare, dà un’emozione così forte che fa dimenticare le due ore di rappresentazione.

Sara Bonci

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