"Cesare deve morire" vince l'Orso d'Oro al Festival del Cinema di Berlino 2012! Un grande orgoglio per l'Italia. Il film è stato già recensito qualche giorno fa dal collega Antonio Castaldo, inviato a Berlino per seguire l'evento. Per l'occasione ripropongo a seguito l'articolo citato:
"Da quando ho conosciuto l’arte sta cella è diventata una prigione!”
Chiude così Cesare deve morire, il bellissimo film in lizza per conquistare l’Orso d’Oro, dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, applaudito da tutta la stampa internazionale alla presentazione di stamane. Una docufiction girata nel carcere di massima sicurezza di Rebibbia in cui un gruppo di detenuti mettono in scena il Giulio Cesare di Shakespeare.

Ma nel film c’è anche chi ce l’ha fatta, si tratta del bravissimo Salvatore Striano, richiamato in carcere dai fratelli Taviani per interpretare un intenso Bruto, il personaggio chiave dell’intera vicenda. L’attore napoletano adesso è un professionista, fa teatro, cinema e televisione, era stato in carcere per otto anni e solo grazie al suo talento è riuscito a ricostruirsi una vita.
Il film comincia e finisce con la stessa scena, ma l’intensità con la quale lo spettatore vive la seconda diventa inevitabilmente più emozionante. Nel mezzo c’è la storia di un classico teatrale preso, smembrato, decostruito e ricostruito, in nome di uno spettacolo, il cinema, che, pur essendo figlio del teatro, è una cosa diversa.
Il film è in bianco e nero, il colore è usato dai registi solo per scandire i tempi e per evocare in una fotografia una poetica di libertà, mentre i dialoghi sono recitati in dialetto di appartenenza di ogni attore.
Il progetto è stato realizzato grazie all’incontro dei Taviani con Fabio Cavalli, attore prestato nel film, ma di professione regista del teatro di Rebibbia, un teatro della città di Roma - non solo uno dei tanti luoghi di un carcere - dove è riuscito a portare ad oggi ventiduemila spettatori, molti dei quali studenti minorenni. Un fenomeno che potrebbe essere oggetto di studi per il teatro contemporaneo.
Antonio Castaldo, Berlino
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