26 novembre, 2011

La fine del bene e del male


Due uomini sul palco. Due voci, due entità. Due forze che si contrappongono: la purezza e l’istinto più selvaggio; la ragione e la pazzia; la razionalità e l’impulso naturale. Tutto questo in un dialogo atto a comporre un quadro del malessere del vivere. Parlo della piece teatrale “Insana Opera”, per la prima volta in scena e forse per l’ultima. Si tratta di un pezzo di circa quaranta minuti, tratto liberamente – stravolgendolo – Dal “Caligola” di Camus.
Ciro Gallorano – diplomato alla Libera Accademia del Teatro di Arezzo - interpreta la personificazione di quella parte della vita che ha ancora una speranza, che ha ancora una morale e che cerca di ribellarsi alla bestialità, questa invece interpretata da Luca Bisaccioni – ha studiato presso il Teatro Stabile di Genova - che di questo spettacolo ha curato anche la regia. Una regia che, nella sua essenzialità, ha colto nel segno, con un disegno luci semplice e con una scenografia minimalista, composta praticamente solo da una sedia. Questo ha dato la possibilità di concentrarsi sulla recitazione degli attori e di porre la vicenda in un piano atemporale, dove non sono stati due uomini a confrontarsi, ma due entità, due forze naturali, due filoni dell'umanità. Ben calibrati anche i cambi scena e anche la lunghezza del testo, dove i concetti sono stati espressi a dovere, senza inutili dilungamenti. La punteggiatura del ritmo teatrale è stata perfettamente rispettata e tutti i punti e tutte le virgole sono stati messi con precisione. Da annoverare, accanto a una regia riuscita, la bravura degli attori, indispensabile a una messa in scena incentrata su questa qualità. Mi ha impressionato soprattutto Ciro Gallorano, perfettamente immedesimato nel suo ruolo, dove gli occhi gli si bagnavano nei momenti più lirici e dove la sua tremante ansiosa gestualità entrava in sintonia con la decadenza della sua parte. “Insana Opera” (già dal titolo si capisce il disagio del contenuto), ricorda da vicino il mito letterario del Faust, dove il Diavolo Mefistofele corrompe l’uomo puro e morale. Anche qui è così, con una eterna lotta tra bene e male, ma di un bene vacillante, che contro il male non può niente, e di un male, che forse una volta era stato il bene, mutato poi dalle vicende della vita. Una lotta continua, un dialogo continuo, finito con la morte: solo due colpi di pistola per dare un termine e un sollievo a due anime arrugginite dalla vita, per porre universalmente una simbolica fine al bene e al male.

Stefano Duranti Poccetti (da ValdichianaOggi, 8 febbraio 2011)

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